Piatto unico (se gradito) #15
"Sono stanco capo", diceva il protagonista de Il Miglio Verde, dopo aver fatto insieme a me i calcoli di quanto pagherò di 730 l'anno prossimo.
Salve a tutti!
Ho poco spazio per la intro di questa settimana, perché sono andato lungo con gli argomenti e il mio editore, Gonzalo Finali, mi ha chiesto di smetterla di parlare a vanvera, che la concentrazione del lettore è labile e perdersi in chiacchiere non ci fa bene. Volevo comunicarvi che col Piatto unico di prossima settimana chiuderemo anche la seconda stagione, così abbiamo due stagioni da otto portate l’una e i maniaci dell’ordine e della serialità sono contenti.
Scrivere questa newsletter rappresenta per me il miglior modo per far fruttare il tempo libero e mi rende felice sapere che, settimana dopo settimana, nuove persone si iscrivono per ricevere questi deliri nella propria casella di mail. Al tempo stesso però, sento il bisogno di riorganizzare le idee: nelle ultime settimane sono andato avanti un po’ per inerzia, causa impegni di lavoro che mi hanno divorato, e la scadenza del venerdì (che mi sono auto-imposto) è diventata un incubo. Credo che, alla fine di questa riflessione, capirò di avere bisogno di qualche giorno in più per selezionare gli argomenti di cui parlare, così posso concentrare tutti gli sforzi a monte del processo e poi scrivere stupidaggini a mente libera dopo; inoltre, sto facendomi un indice delle cose di cui ho già parlato, così da non riprenderle nuovamente, mentre sto stilando la classifica di tutti i giochi che ho giocato su Switch. Lo sapevo, mi sono incastrato di nuovo e sto facendo finta che questo sia il mio lavoro. È il risvolto di quello che i guru chiamano Mindset: una volta che a livello professionale fai tuo un certo tipo di approccio, tendi a ripeterlo all’infinito anche in cose minori, dove potresti essere più elastico mentalmente e prenderla alla leggera.
Buon piatto!
Come la stampa parla dei videogiochi
Per riscaldarmi le manine, riprendo una discussione che ho avuto con il mio amico Gabriele, che saluto. Parlavamo di questa newsletter e di come lui, nonostante non abbia nulla da spartire coi videogiochi, trovasse comunque piacevole leggere quelle quattro righe in croce che ogni tanto butto sul tema. Effettivamente, Piatto unico nasce anche per dare sfogo a questa mia forte passione, ma deve convivere col fatto che ormai mi so’ scocciato di scrivere in maniera complicata, di cercare l’artefatto barocco per fare felice chi legge e fargli credere che ci so fare. Perché scrivere in maniera semplice costa un botto di fatica, soprattutto quando si parla di videogiochi.
Non so come prenderla dal verso giusto e non voglio che nessuno tra i lettori (occhiolino occhiolino occhiolino) ci rimanga male. Partiamo dalla base e scindiamo chi scrive di videogiochi in amatori e professionisti: io rientro assolutamente tra i primi, quelli che lo fanno, appunto, a livello amatoriale, per perdere tempo; nella seconda categoria ci sono invece tutti quelli che ci guadagnano due soldi, che lo fanno per lavoro e che quindi detengono il potere di influenzare i lettori e cambiare le cose. Ecco, credo che per quanto si stiano sforzando, questi ultimi proprio non stanno riuscendo nell’intento di avvicinare nuova gente ai videogiochi.
Siamo in un momento d’oro per il mercato dei videogiochi: robe diversissime tra loro come i reel, i lockdown e le serie TV1, giusto per citarne tre, hanno permesso e permettono ancora oggi di raggiungere uno straordinario quantitativo di gente nuova, portanto i videogiochi nelle vite di tutti. Per farvi capire, io oggi posso permettermi addirittura di passare la pausa pranzo coi miei colleghi a parlare di Fortnite, di The Last of Us o di Call of Duty senza essere scambiato per un coglione perché anche loro sanno di cosa parlo e tutti hanno visto la serie HBO di TLOU.
Eppure sembra che la voglia di porre insormontabili barriere comunicative sia più forte del bisogno di avere nuova utenza che possa dare filo al dibattito: per ogni Altri Mondi che nasce e porta l’informazione videoludica sulla RAI, ci ritroviamo con venti-trenta nuovi podcast o siti che propongono ancora longform di analisi chirurgica del singolo cristo di pixel di ogni videogioco e discussioni alienanti in cui la cosa più semplice è perdere il filo. Oggi, leggere di videogiochi è difficilissimo ed è anche una gran rottura di coglioni se non hai firme di riferimento, perché da una parte ci sono questi trattati infiniti dove prima di passare al sodo devi sorbirti la citazione di quattro romanzi inglesi del Quattrocento, due film di David Lynch e l’abuso del termine world building; dall’altro lato invece basta niente per venire ingoiati dalla trappola delle recensioni, che solitamente presentano questi problemi tra i tanti:
chi scrive non ha ancora definito in maniera netta la differenza tra remake, remastered e reboot;
per ogni videogioco viene coniato un genere diverso, tu pensa dire a un novizio “ascolta, questo è un roguelike un po’ soulslike a scorrimento laterale 2.5D con elementi jprg e una chiara ispirazione mariesca in quanto alla parte platform”;
peggio ancora è beccare il filotto di “4K puri - frame rate - 1440p - upscalare a 4K - 60 fps - VRR”, con Allen Iverson in questa storica intervista che invece dice “Motori grafici? We’re talkin’ ‘bout motori grafici?”.
Per me, e lo dico da juventino2 da autentico signor nessuno, parlare di videogiochi non può più essere così complesso, perché il mercato s’allarga costantemente e oggi pure mio padre con Duolingo è un potenziale cliente e chissà che non gli venga la voglia, a quasi 65 anni, di giocare di nuovo a Gran Turismo. Come vi dicevo con Amazon Luna, adesso chiunque può accendere il televisore di casa ed essere pronto a giocare in cinque minuti e una volta che sta lì, tutto intento a cominciare, potete scommetterci che aprirà la barra di ricerca su Google con in testa la domanda “Ma a che cazzo devo giocare se non so nemmeno cosa mi piace?”, quindi becca la pubblicità di Fortinte e scrive “Recensione Fortnite” e il primo risultato che esce (provateci anche voi) è un articolo che attacca con
il titolo di Epic Games ha fatto il proprio debutto in Accesso Anticipato…in particolare il modulo stand alone Battaglia Reale…piuttosto che un lancio pur in Early Access…la modalità Battle Royale, che ha spinto la popolarità del gioco verso picchi insperati, con oltre quaranta milioni di giocatori rilevati
MA CHE SIGNIFICA. MA A COSA GIOCANO QUARANTA MILIONI DI PERSONE. MA COSA È UN ACCESSO ANTICIPATO. MA COSA SI FA IN FORTNITE.
Giocare un videogioco non è ancora semplice come ascoltare un disco o guardare un film, e forse non lo sarà mai: una volta che ti fai coraggio e ti butti dentro è complesso destreggiarsi in una foresta di termini artefatti che continuano a parlare alle nicchie allargate di videogiocatori e che servono molto più per alimentare le battaglie tra giornalisti e redazioni che ai fruitori stessi. Ora mi ci metto in mezzo anche io, che sto facendo il professore ma in realtà andando a sfogliare i vecchi videogiochi di cui ho parlato sono stato parimenti enigmatico. Da adesso, nel mio piccolo, farò in modo che le cose vadano diversamente e se dovessi parlare nuovamente di un videogioco lo farò paro paro a come ho risposto a Ludovica quando mi ha chiesto cosa fosse F-Zero 99, ovvero “un gioco di macchinine che vanno sempre dritto e si tuzzano3 tra di loro”. Fine.
Che fretta c’era? Maledetta borsa di studio
Eccomi qui, il Paladino della giustizia che veste alla marinara, l’uomo che volutamente si è preso sulle spalle il fardello di dover difendere la sua famiglia dalle insidie nascoste nelle pieghe del progresso e della tecnologia, il professore che settimanalmente tiene un compendio in cui spiega ai presenti che no, non esiste nessun container di roba Amazon invenduta che viene regalata e che non è nemmeno possibile acquistare un pallet di merce Temu difettata a solo un euro. Fortunatamente, fino a oggi i potenti mezzi governativi di cui disponiamo ci hanno permesso di arginare il problema. Fa ancora più ridere sapere che l’unico della famiglia che almeno una volta è stato truffato online sono proprio io.
Primavera 2020, qualche giorno prima (o dopo) il mio compleanno, ricevo il benedetto saldo della borsa di studio: appena la somma si parcheggia nel mio conto, spengo la Playstation (e il cervello, probabilmente) e apro il Marketplace di Facebook, con l’obiettivo di trovare una Nintendo Switch usata e a poco prezzo. Ed effettivamente la trovo: la vende un tizio, quello dell’annuncio, che però fa da tramite per suo cugino, quindi mi lascia il suo numero così possiamo sentirci su Whatsapp. Qui avviene il primo grado di spersonalizzazione dell’individuo, nel salto, appunto, da una piattaforma all’altra e già avrei dovuto capire qualcosa, se non fossi stato completamente offuscato dalla voglia di avere una Switch quanto prima.
Dai video la console sembra in buono stato e perfettamente funzionante, lui vuole 180 euro per spedirmela con Posta Prioritaria, contrattiamo un pochino e il demone dello sconto strappa anche un abbuono di dieci euro e la cartuccia di BOTW. Ci mettiamo d’accordo per la mattina dopo: io faccio il bonifico, lui va in posta e spedisce il tutto.
Mi chiede: vuoi fare con Paypal?
E io, dopo rapido consulto con amico: no no, col bonifico è più sicuro (si, stocazzo).
Gli chiedo: ma senti, una foto dei tuoi documenti non me la mandi, così sto più tranquillo?
E lui: certo, tieni, e mi manda effettivamente la foto fronte-retro della sua carta di identità e io gli mando la mia.
Come scopriremo giorni dopo, qui avviene il secondo grado di spersonalizzazione dell’individuo. Vado a dormire e sono felice, perché entro una settimana avrò finalmente la console che sto inseguendo da qualche anno, sono un diavolo, sono gasato, ci sto riuscendo finalmente.
La mattina dopo è tutto apparecchiato: ricevo alcune foto della Switch imballata e mi avvisa che è al lavoro e che uscirà per l’ora di pranzo, andando a spedire all’ufficio postale lì vicino. Quindi io gli mando il fatal bonifico. Lui si attarda un po’ sui tempi, aggiornandomi tempestivamente, e poi alle quattro e mezza mi manda una foto dall’ufficio postale, dicendomi che è in fila. Non avrò mai più sue notizie. Passate le 17:00, il bonifico diventa irrevocabile, e mentre provo a chiamarlo scopro che mi ha bloccato. Ci sono caduto con entrambi i piedi.
Come scopriremo mesi dopo assieme al Comando dei Carabinieri di Lecce, mi sono tuffato in pieno nella più classica delle truffe online: questo tizio ha uno pseudo-conto corrente aperto con Sisal, può ricevere bonifici ed effettuare pagamenti e in cambio Sisal ringrazia operando controlli inesistenti sulle operazioni effettuate. Reiterando questa truffa si è procurato una moltitudine di foto di carte di identità, tra cui la mia, quindi a turno si spaccia per un altro e ripete sempre le stesse procedure.
Quando i Carabinieri lo hanno trovato, assieme abbiamo commentato il terzo grado di spersonalizzazione dell’individuo: il truffatore è un sedicenne nullatenente e la mia denuncia si è unita a un filotto di un’altra decina che non ci avrebbe comunque condotto a recuperare la somma. Per evitare di rimetterci le spese legali e il viaggio per andare a testimoniare, ho ritirato la denuncia e preferito perdere 170 euro ma avere una grande storia da raccontare alle cene con sconosciuti. Fortunatamente, non sono mai stato contattato su Facebook da nessuno che è stato truffato a nome mio. Per ora.
Cortocircuito TripAdvisor
Vabbè, c’è purtroppo questa storia terribile sulla ristoratrice che pare si sia tolta la vita per un casino fatto con una recensione, che forse è finta. Non ho voluto entrare nel merito più di tanto, quindi rimango sul vago perché non so niente e io non parlo di cose che non conosco. Però a me ‘sta storia mi ha ricordato di una situazione in cui mi sono ritrovato tempo fa, che forse può aiutare a capire un pochino come funziona il cortocircuito con cui TripAdvisor riesce a devastare le vite di chi lavora nella ristorazione, facendo credere ai clienti di formulare pareri che importano, traghettandoci tutti verso il bad ending di queste storie.
Circa sette anni fa sono finito per caso a lavorare in un ristorante di paese: un’amica mi chiese di sostituirla per una sera e poi ci sono rimasto giusto quei due anni di routine, perché non c’avevo voglia di studiare e quindi fare il cameriere era il modo più rapido per sopravvivere. Lavorare in quel posto era abbastanza infernale e da quell’esperienza potrei tirare fuori roba sufficiente per riempire tre o quattro newsletter: la sala e la cucina erano collegate da una quindicina di gradini, così dopo sei mesi avevo le gambe di Vincenzo Nibali e le palle che giravano come il rotore di un Black Hawk; poi storie di tresche, lo chef che si voleva per forza fare una canna con me (che non fumo erba, tra l’altro), vabè, lasciamo perdere che ho un buon nome da difendere.
Il gestore di quel posto, una persona verso la quale ancora oggi provo forte gratitudine e altrettanto forte voglia di metterlo sotto con la macchina, aveva questa abitudine: il mercoledì, mentre cenavamo prima del servizio, dovevamo tenere una piccola riunione in cui si leggevano le recensioni del locale su TripAdvisor, tipo Forum. Per più di un anno aveva alimentato la sua pagina comprando recensioni finte ed elemosinando agli amici quelle vere, per cui eravamo il locale più recensito del paese nonché quello con la media volto più alta e questo effettivamente portava tanti clienti e turisti. Le recensioni negative erano viste come una macchia indelebile e quindi, in questo fantastico momento di condivisione e crescita professionale, sostanzialmente partiva la caccia alle streghe: lui leggeva le recensioni ad alta voce, cercava mentalmente di ricostruire chi fossero le persone interessate, dov’erano sedute e cosa avevano preso4 e poi partiva l’assalto verso il cameriere che aveva servito il tavolo, scaricandogli addosso un cazziatone infernale condito da offese personali, minacce di tagli allo stipendio e cose di questo tipo. E se non era possibile risalire al cameriere, allora era colpa di tutti; e se il cameriere non ci stava, allora ci si accusava a vicenda.
Lascio a voi le conclusioni, ma vi posso assicurare che non è certamente un caso isolato, come ho avuto modo di scoprire nel tempo. Uno dei miei colleghi subiva molto questa cosa: una volta è stato schernito in malo modo, col gestore che ha preso il suo stipendio settimanale, lo ha chiuso in una coppetta di plastica e l’ha messo nel congelatore. Perché il suo stipendio era congelato, ha ha ha, capito? Io, dopo un mese di battute di caccia, mi sono stufato e le ho boicottate apertamente, con atteggiamento di sfida e provocazioni di vario tipo ma non perché sono un maledetto ribelle ma perché volevo andarmene da lì e cercavo un pretesto: in cambio sono stato esonerato dal prendervi parte, con somma soddisfazione, e qualche settimana dopo ho addirittura chiesto un aumento di ben cinque euro sulla mia paga giornaliera. Mi è stato risposto “Massimiliano ma certo! Sei il nostro miglior cameriere, figurati se non te li diamo. Potevi chiederceli già un anno fa!”. Ma allora perché non me lo avete offerto voi l’aumento? "Perché così abbiamo risparmiato cinque euro a servizio fino a oggi!”.
Abdul A. Schopenhauer
Temo, purtroppo per voi, di non essere ancora riuscito a cogliere completamente tutte le sfumature di questa roba ma al tempo stesso dovevo rivendicarne la scoperta prima che sia troppo tardi. Da diverse settimane continuo a inciampare su Instagram nei video di il_vero_kebab_la_stazione e non ho ancora capito se si tratta veramente della pagina di questa kebaberia o se stanno semplicemente ricaricando i video e io, davvero, mi immaginavo che i trent’anni fossero come me li avevano anticipati, tipo dolori articolari, sabato sera a casa guardando film e bambini di altri da tenere in braccio e mai mi sarei aspettato che si trasformassero nella totale perdita di certezze quando ti muovi su internet, nella paura di non capire, di non riuscire a stare dietro a tutte le cose che succedono, nella scoperta che la vera F.O.M.O. l’abbiamo inventata noi: troppo vecchi per stare al passo coi trend dei social network, troppo giovani per dire “Eeeee ma che ne so io, ma chi ha mai avuto internet sul telefonino, io le memory card, i floppy”.
Ora, questo potrebbe sembrare il prolungamento della intro di settimana scorsa ma la verità è che questi di Kebab La Stazione stanno producendo contenuti indecifrabili, che forse rappresentano la naturale evoluzione del tizio che gestisce i social di Unieuro simulando costantemente di essere in preda a un rant mentre è alla tastiera e che, diciamocelo, non fa più ridere ormai da mesi.
Per capire la lore ecco, l’ho usato di Kebab La Stazione, prima bisogna guardare:
E ora possiamo chiederci assieme, in cerchio, attorno a questo fuocherello: è forse questa la nuova frontiera del marketing e della comunicazione? Davvero esiste qualcosa di più complesso di una kebaberia che si fa pubblicità con contenuti totalmente out of context, andando a pescare un po’ dai trend, un po’ dalla cultura del nosense (che funziona sempre) e un po’ da vecchi personaggi del web italiano, tipo Er Lucertola? I video di Tiktok con le macchinine ci hanno portato a vivere semplicemente di continui stimoli alla nostra attenzione? Quindi, la pubblicità del futuro avrà informazioni random sui prodotti unite a cose totalmente scollegate e messe lì solo per catturarci?
Comunque, per la serie “Psicoterapia Piatto unico”, mentre scrivevo mi è arrivata una notifica su Gmail: la mia recensione di una kebaberia a Francavilla ha raggiunto non ricordo quante visualizzazioni, tipo oltre cento. Il testo della recensione è “Tutto buono, buonissimo, bravissimi”, e l’ho scritta sotto dettatura del tizio che mi ha chiuso la pita, quello del premio all’EXPO. Ho un evidente problema con le kebaberie a questo punto, sono posti dove la mia volontà si annulla, facendomi diventare un essere in balia degli eventi e forse già intravedo la terza stagione di Piatto unico: otto appuntamenti, otto recensioni di kebaberie diverse.
I libri degli influencer, la cloaca che ci meritiamo
Mia madre ormai l’ha capito: regalarmi un qualsiasi libro, anche il più scandaloso, le permetterà sempre di uscirsene alla grande, ottenendo in cambio quello che da me si aspetta, ovvero una minima reazione che dissimuli felicità. In realtà gliel’ho detto io di fare così, perché mamma crede ancora nei regali utili, nel “Cosa ti serve?” che distrugge completamente la magia della sorpresa. Fare un regalo, alla fine, sta tutto lì, nel tempo investito per la ricerca di qualcosa che possa piacere, nell’interrogarsi su quanto conosciamo i gusti della persona a cui vogliamo fare un regalo, nella scelta della confezione più adatta, ma che cosa ne volete sapere voi, ma perché ve ne parlo, continuate a regalare alla maniera vostra, me lo tengo per me il mio know-how.
Il problema coi libri è che mia madre è letteralmente quel tipo di persona che entra in una libreria e fa “A mio figlio gli piace il pallone” e quelli invece di rispondere “Signora ma guardi che noi non siamo il consultorio” la assecondano e anzi si sfregano le mani, pregustando già di piazzarle la peggio feccia di libri pseudo-sportivi. Nel 2021, per Natale, è andata sicuramente così ed ho ricevuto in regalo non una ma ben due biografie sul compianto Siniša Mihajlović che, come uomo, come portatore di ideali, non ho mai sopportato. Mihajlović ha sempre difeso con orgoglio i suoi conclamati rapporti personali con Željko Ražnatović, detto Arkan la Tigre, leader degli ultras della Stella Rossa di Belgrado, agente segreto del governo jugoslavo, accusato di genocidio e pulizia etnica, che ha anche fatto cose buone, come aiutare la famiglia Mihajlović a salvarsi. Come calciatore invece era ingiocabile, veramente una roba incontenibile.
Comunque, uno dei due libri, l’unico che ho letto finora, è scritto dalla figlia di Mihajlović, tale Viktorija, che viene introdotta in copertina come “Figlia di Sinisa, ha partecipato a l’Isola dei Famosi” e già qui si potrebbe dire tanto, perché il disastro è praticamente annunciato. La Mihajlović scrive in maniera terrificante, probabilmente il libro è una trascrizione di suoi audio inviati su Whatsapp allo scrittore più frustrato della Terra, un continuo di “Vi amo”, “Siete pazzi, vi adoro”, “Pazza io”, “Io veramente basita” e via così, come in un talk con Maria De Filippi. Candidato già da pagina cinque al premio “Peggior libro che ho mai letto” (titolo che, vi ricordo, appartiene saldamente a Fai bei sogni di Gramellini), Sinisa, Mio padre ha la bellezza di 79 pagine bianche su 224, lì dove le esigenze di stampa sono diventate esigenze di decenza, e contiene inesplorate vette di cialtroneria tipo “e vi dico una cosa che lui non vi ha mai detto: quella fottuta paura gli faceva paura sul serio”. Ahahahaha, ma dai, sul serio?.
Fortunatamente, a metà libro la cara Vittoria viene zittita definitivamente e il racconto dei suoi problemi adolescenziali e di quanto fosse ribelle e indomabile ci saluta per sempre: si va avanti con la trascrizione testuale di una intervista che Siniša ha rilasciato a Silvia Toffanin durante Verissimo (molto godibile perché decisamente autentica) e si chiude con un racconto della sua carriera da calciatore fatta però con ChatGPT, tipo che a una certa, nel racconto del periodo alla Lazio, prima c’è scritto “Veròn si presenta dal dischetto per la Lazio e fallisce il rigore” e due pagine dopo “Finalmente, quell’anno la Lazio acquistò Juan Sebastian Veròn”.
Un’indecenza, veramente, due settimane a leggere questa schifezza colossale. Fortunatamente ora ho attaccato con Dizionario del calcio italiano, di Marco Sappino, che è letteralmente un dizionario sul calcio in Italia scritto negli anni Duemila: si parte dalla A e ci sono oltre tremila piccole biografie di giocatori, con alcune chicche sui pionieri del calcio italiano dei primi del Novecento.
In zona Cesarini:
sapete cos’è la proiezione cilindrica centrografica modificata di Mercatore? Io l’ho scoperto leggendo Link Molto Belli di Pietro Minto, una newsletter che mi ispira molto. Trattasi di una tecnica cartografica proposta nel 1569 da Gerardo Mercatore, poi riciclatosi come imprenditore nella catena Mercatore Uno, mamma mia che schifezza che dilata le linee di proiezione agli estremi: è grazie a questa tecnica che oggi possiamo fare quel giochino che ci fa vedere quanto in realtà siano grandi gli Stati se paragonati tra loro;
a proposito di serialità, vi segnalo Another Cent, pagina Instagram di tale Amelio, ricercatore professionista di monete, che dal 2017 ha raccolto da terra e catalogato 645,44 euro.
Ci sentiamo la prossima settimana, saluta a papà!
potrei realmente argomentare ognuno di questi aspetti, spiegando l’impatto che per me stanno avendo sulla diffusione dei videogiochi, ma chi è che legge queste note?
meme pazzesco che non sto trovando da nessuna parte, comunque si fa il verso alle discussioni di calcio in cu è diffusissimo l’anteporre prima che squadra si tifa, a mo’ di disclaimer;
letteralmente bussare o urtare, ma spesso anche aggredire;
si, è una deformazione professionale. Io, a distanza di quasi sei anni, ricordo ancora cosa prendono i clienti abituali del bar dove stavo;
Madonna sì, il jargon del videoludo, adoro scrivere nella specializzata perchè mi obbliga a farne spesso a meno.